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Vergonte e Pietrasanta

Grandi in ogni tempo furono i danni causati in Ossola dallo straripamento de' fiumi; ma nessun disastro mai uguagliò quelli ch'ebbe a soffrire il territorio di Vergonte. Era quel borgo florido, e più ancora doveva crescere in prosperità dopo la diretta unione sua al Comune di Novara, il quale vi teneva un suo Vicario, e aveva tutto l'interesse a mantenerlo forte e popoloso. Sgraziatamente era serbato ad inaudita catastrofe. Dopo una pioggia, la quale continuò dirotta parecchi giorni, il torrente Marmazza, che scendendo dalla piccola valle di tal nome scorreva a fianco del borgo, divenuto straordinariamente gonfio, soverchiò a un tratto le chiuse che difendevano l'abitato, e impetuoso irruppe entro di esso. Dalla improvvisa e immensa rovina non furon salve che poche case e il convento degli Umiliati. Anche la vetustissima chiesa plebana ne fu molto guasta. Una immane congerie di massi, di ghiaia, di frantumi seppellì ogni altro edifizio e buona parte de'miseri abitanti.

Ma non andò molto, che quasi nel medesimo luogo sorse un nuovo borgo: tanto, e sì caldo e sì prepotente è nei montanari l'amore al luogo nativo. A questo nuovo borgo fu dato il nome di Pietrasanta. Ma per essere vicinissimo al distrutto Vergonte, ne seguì ch'esso, e quelle case di Vergonte, che non ebbero a soffrire completa rovina, e quelle altre che vi furono ricostruite in appresso, vennero in breve a formare come un borgo solo. Ond'è che a designare quel luogo si è poi per alcun tempo continuato ad usare promiscuamente i due nomi: il che indusse alcuni a credere alla contemporanea esistenza dei due borghi in quella medesima regione.

Nessuno ha sin ora precisato l'epoca della distruzione di Vergonte, né data una plausibile ragione del nome di Pietrasanta. Dico ciò, poiché non abbastanza mi appaga la spiegazione che ne diede il Tiraboschi, il quale nella sua storia degli Umiliati, numerando fra le case loro anche quella di Vergonte, di cui ho parlato di sopra, dice che Vergonte è pur detto Pietrasanta ex Martyris alicujus sanguine, ut fertur, asperso (1): della qual spiegazione lo stesso Tiraboschi non si mostrò troppo persuaso, avendovi prudentemente innestato un ut fertur. Sia pertanto lecito di esporre una mia congettura, che non mi par priva di un probabile fondamento, e secondo la quale si potrebbe anche stabilire con qualche esattezza l'anno della origine di Pietrasanta.
Scorrendo gli annali novaresi, trovo che negli anni 1250 e 1251 era podestà di Novara un Guiscardo de Petra-Sancta (1), appartenente ad antica e nobilissima famiglia milanese (2), e figlio, come dimostra il Giulini, di quel Pagano de Petra-sancta, che fu podestà di Bologna nel 1230, e di Genova nel 1232 (3). Ora io son d'opinione che il disastro di Vergonte sia per l'appunto avvenuto nel 1250 o 1251; e che il nostro Guiscardo, riconoscendo di quanta importanza fosse per il comune di Novara il possedere nel cuor dell'Ossola inferiore un luogo forte e ragguardevole, ne abbia con grande impegno curato la ricostruzione; o, per meglio dire, la edificazione in quei pressi di un nuovo borgo, cui volle dal proprio cognome denominato.
In questo pensiero mi conferma il sapere, che lo stesso Guiscardo, essendo nel 1255 podestà di Lucca, fece nella Versilia, dipendente da quella città, edificare due borghi, ad uno de'quali volle similmente imporre il nome di Pietrasanta. Questo è primamente attestato da Tolomeo da Lucca, scrittore di quel tempo, il quale, facendo menzione del nostro Guiscardo, aggiunge : qui de Versilia duos burgos, unum ex suo nomine nominavit, alterum vero Campum Majorem (4). E' poi confermato da Giovanni da Cermenate, cronista di poco posteriore al citato Tolomeo, il quale sotto l'anno 1313 narrando della presa dello stesso borgo di Pietrasanta nel Lucchese, fatta da Arrigo di Fiandra, maresciallo dello imperatore Arrigo VII, dice: ipsum (oppidum Petrae Sanctae) construxerat quondam Guiscardus de Petra-Sancta, nobilis civis Mediolani, urbe sua exsulans, prima Turrianorum regnante tirannide, in districtu, aut prope confinia Lucanae urbis, cujus Rector erat, oppido sui cognominus imponens nomen (1).
L'analogia adunque mi porta a credere che Guiscardo de Petra-Sancta, essendo Podestà di Novara all'epoca della distruzione di Vergonte, ed ambizioso di legare a durevoli monumenti il proprio nome, abbia da principio fatto nel nostro Vergonte quello, che quattro anni dopo avrebbe ripetuto nella Versilia lucchese: molto più che qui la necessità pe'Novaresi di favorire a tutto potere la pronta ricostruzione del borgo rovinato, era manifesta ed imperiosa.
Abbiamo in fatto veduto in un capitolo antecedente quanto importasse a quel comune la conservazione di Vergonte e degli altri paesi acquistati dopo la guerra co' Vercellesi, e come il Podestà di Novara, nello entrare in carica, fosse a tenore degli statuti obbligato a giurare di mantenergli e rendergli vie più popolosi e forti. E così ora, dopo la edificazione di Pietrasanta, e in conseguenza della dolorosa esperienza del passato, a prevenire nuove sciagure fu da quel Comune stabilito, che ogni Podestà, entro i primi due mesi del suo ingresso in officio, dovesse spedire a Pietrasanta due delegati insieme ad un notaio e ad un ingegnere, affinché sul luogo avvisassero ai mezzi più efficaci per riparare ad ogni pericolo che ne potesse venire dall'Anza o da un altro torrente; ingiungendo ancora, che entro otto giorni dal ritorno di quei messi in Novara, avesse egli a far note al Consiglio Maggiore le loro proposte, e mandar quindi ad esecuzione ciò che il Consiglio stesso avrebbe deliberato. Questa determinazione, da prima osservata per consuetudine, fu poscia, per darle maggior forza e solennità, inserita nel corpo degli Statuti medesimi il giorno 21 ottobre 1284, essendo Podestà di Novara Robaconte de Strata (1).
Lo stesso pensiero politico adunque, da cui furon mossi i Novaresi a fare del piccolo luogo d'Intra un cospicuo borgo, ed a sollevare a tale grado anche l'umile terra di Mergozzo, come ho narrato altrove, fu quello che, a mio credere, determinò la ricostruzione di Vergonte: come pure il desiderio di rinomanza fu quello che indusse il podestà novarese di quel tempo ad imporre alle nuove costruzioni il nome di Pietrasanta.
Sono oltremodo scarse le notizie che si hanno di questo borgo. La sorte fatale cui esso, nella prima metà del secolo seguente, andò al paro di Vergonte soggetto, ci tolsero quei monumenti storici che sarebbero ora infinitamente preziosi.
Una prima memoria di Pietrasanta ci fu conservata negli antichissimi Statuti di Novara poc'anzi citati. Uno di essi, in data 27 ottobre 1270 (1), parla del pedaggio di Pietrasanta, la metà del cui reddito vien dal Comune di Novara destinata a gradatamente estinguere i debiti contratti particolarmente verso i militi novaresi, che soccorrendo Milano si erano recati ad espugnare la città di Lodi (2). In altro Statuto del 14 gennaio 1276 si prescrive che nessuno dei Conti di Castello o di Crosinallo possa dimorare come signore, o come podestà, o in un altro modo qualunque nel borgo di Vergonte, ovvero sia di Pietrasanta, come pure nel borgo d'Omegna; ad eccezione di coloro che in quell'anno medesimo già vi si trovassero per delegazione del Comune stesso (3). Questa misura fa supporre che i reggitori di Novara avessero concepito qualche sospetto intorno alla lealtà di quei Conti; ma non sono in grado di poterne indicare la ragione.
Di Pietrasanta e del suo pedaggio fa parimenti menzione un'altra carta del 30 luglio 1295, la quale dimostra che il Monastero d'Arona, già più volte mentovato, godeva del privilegio di potere liberamente far passare in quel luogo le bestie bovine di sua proprietà, senza dover pagare alcun scotto al pedaggiere (1). Finalmente una sentenza, pronunciata in burgo Vergonti subter copertum Petresancte, il 20 settembre 1301 da Leonardo de Perazzo, Vicarium Ossule a lacubus supra, è l'ultimo documento scritto da noi posseduto, in cui sia fatto cenno di Pietrasanta (2). La lite concerneva i due comuni di Mergozzo e di Omega, ciascuno dei quali pretendeva, che gli uomini di Cerro dovessero con esso lui concorrere nel pagamento della propria quota del salario al Capitano del Lago Maggiore. Leonardo da Perazzo, udito il parere di Obicio de Furno giurisperito, sentenziò in favore di Omegna; ma Guidotto Ferrerio, sindaco e procuratore del Comune di Mergozzo, si appellò a Matteo Visconti, vicario generale in Lombardia. In questo atto non sono enumerate le ragioni messe in campo dalle due parti, le quali avrebbero potuto gettare un po' di luce maggiore intorno al luogo di Cerro, di cui sono soltanto scarsi i documenti e povere le notizie.

Dopo il disastro di Vergonte una parte di quegli abitanti abbandonarono il territorio, e si recarono, e presero stanza di là della Toce, nel luogo ove poi sorse il cospicuo borgo di Vogogna, il quale, prima di quel tempo, non era che una terricciuola di pochi casolari (1). E fu questo il primo incremento di Vogogna, che poi crebbe a tanto da divenire un secolo dopo il capoluogo dell'Ossola inferiore.
Hic aut non longe - scrive il Bescapé: - Verguntum fuisse videtur......Ex eo, nescio qua vi diruto, Voconia facta est, ultra flumen contra ecclesiam plebanam salubriore et tutore loco (2). E similmente il Cotta: pagum regionis praecipuum Voconiam non recentem pronunciabo, sed ex modico auctum; nam olim caput fuit Vergantum, a quò regioni nomen inditum. Sed eo ante annum 1300 deleto, Voconia aucta est, nisi facta (3). Di questo avventuroso accrescimento della popolazione e della fortuna di Vogogna, attestato da altri storici, fra cui amo citare il Giulini, il Ferrari, il Durandi e lo Scaciga, vollero i suoi abitanti serbare più tardi la ricordanza coi seguenti versi, che ancor si leggono sovra una parete esterna del palazzo di quel comune:

Filia Vergonti fertur Vogonia strati,
Quae, patre defuncto, flens mansit et orphana mundo:
Attamen ipsa sui patris de stipite crevit,
Pronta suo patri servitia reddere facta.

Forse da questa epoca medesima data l'erezione delle parrocchie di Masera, Trontano e Beura, i cui abitanti erano in prima, quanto allo spirituale, sottoposti alla Pieve di Vergonte. E' probabile, dico, che ciò sia avvenuto dopo il narrato disastro; come dopo quello di Pietrasanta, di cui sarà detto più avanti, ebbe luogo la separazione dalla medesima Pieve delle parrocchie di Premosello, Cuzzago, ecc. In Masera fin dall'undecimo secolo già esisteva l'Abazia di S. Abbondio, come dianzi fu detto. Ora la prima memoria di quella chiesa parrocchiale di S. Martino l'abbiamo per l'appunto in carta del 1278 (1). Da un testamento poi di certa Ottobona del 1313, si viene a vedere, che due almeno già erano in quell'anno i preti che officiavano in quella chiesa (2). Anche la chiesa di S. Maria in Trontano esisteva già innanzi al 1294. Un Ottobono della Guarda col suo testamento del 22 giugno di quell'anno, rogato in Domodossola entro il convento de'frati minori di S. Francesco da Giovanbono, notaio di Ornavasso, destinò, fra gli altri legati, lire venticinque ad essa chiesa : item legavit ecclesie sancte Marie de Traguntano libras XXV (3).

Così pure nel 1298 il vescovo Papiniano concedeva a un certo Giovanni de Ovigo di restringere ad alcuni determinati fondi il censo di due libbre di cera, da esso poco prima costituito sopra tutti i suoi beni in favore di quella medesima chiesa (4). A questa parrocchia di Trontano erano sottoposti anche i terrazzani di Paesco e di Marone, e quelli di Cosasca. I primi ne furono staccati il 16 marzo 1617, allorquando il cardinale Taverna, vescovo di Novara, elevò a parrocchiale la chiesa di S. Antonio di Marone. Cosasca finalmente fu eretta in cura il giorno 8 giugno 1826 dal cardinale Morozzo, e fu l'ultima parrocchia istituita in Ossola (1).
L'avere qui discorso di cose ecclesiastiche fa stimare opportuno il registrare a questo luogo altresì alcune sparse notizie che di quel tempo si hanno intorno ai beni posseduti nell'Ossola inferiore dalla Badia d'Arona, già più volte menzionata: le quali notizie mal si potrebbero collocare altrove e secondo lo stretto ordine cronologico. Oltre ai beni pervenuti a quella Badia per la grandiosa permuta seguita nel 999 tra l'abate Lanfredo e l'arcivescovo di Milano, essa più altri ancora ebbe ad acquistarne in appresso, i quali erano posti in Bracchio, Mergozzo, Condoglia, Albo e Premosello. Ciò risulta da carte spettanti all'Archivio di Stato in Torino, inedite fin'ora, e, quanto pare, sconosciute anche allo Zaccaria.

Una prima carta, del 26 giugno giugno 1208, contiene l'investitura concessa dall'abate Ariberto ad Enrico di Stresa di due alpi situate nella valle Anzasca, una chiamata Dodomo (2), l'altra Macugnaga e Sasso Cervario (3). Di queste medesime alpi si ha un'altra investitura a favore di Guidetto Visconti, accordata il 1° luglio 1256 (1). Altre carte del 1225, 1254 e 1297 riguardano poderi situati nel territorio di Blamosello, delle quali non stimo dovermi più a lungo intrattenere, essendo esse integralmente riportate fra i documenti del secondo volume (2).
Viene appresso una assai importante Recordacio, ossia memoria di livelli e censi spettanti a quel monastero, e stati riscossi per l'anno 1262 dalle persone e per i beni ivi indicati. Questo bel documento, che trovasi nell'Archivio di Stato anzidetto, fu primamente pubblicato dal chiarissimo De-Vit nelle sue Notizie storiche del Lago Maggiore. Ho tuttavia creduto di non doverlo omettere nella mia raccolta di documenti (3).

In questa Recordacio, dopo aver menzionato i luoghi di Ghiffa, Intra, Cavandone e Pallanza, si nota nella nostra terra di Bragno, o Bracchio. Segue il luogo di Margocio, e quindi quello di Albo. Nel passo relativo a questa ultima terra, è degna di essere rimarcata la menzione che vi si fa del porto di Albo. Non è dubbio che questo fosse posto sul fiume Toce, e che servisse fin da quei lontani tempi per comunicare col limitrofo territorio di Ornavasso. Stimo anzi probabile che si trovasse nella località ora detta al porto Scaglione. Nello stesso passo è pur nominata la chiesa di S. Maria de Albo, il cui converso o sagrestano aveva in livello un campo sito ubi dicitur ad lancarecciam.

In appresso viene Gandoglia, e quindi Bramosello; del qual luogo era certo Graziolo del fu Pietro de Plata, o forse de Prata, che teneva dal monastero in affitto un'alpe posta nel territorio di Cosasca (Coxelii) nella regione detta Mezzana.
Altre carte posteriori a quelle sovra accennate dimostrano che il monastero d'Arona si mantenne in possesso di tutti questi beni e di tutte queste rendite nell'Ossola inferiore sino oltre la metà del secolo XV; ma troppo lungo sarebbe il volerle partitamene tutte indicare.