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Il monastero di Clonza e la distruzione di Megolo

La donazione di Warnemperto di Anzola è la prima testimonianza nota del monastero benedettino di Clonza, la cui esistenza è in gran parte circondata dal mistero. Si trattava presumilmente di un priorato benedettino dipendente dal monastero di San Lorenzo di Novara, che alla fine del XIII secolo, quando il priorato cessò di esistere, ne assorbì le rendite. Il monastero, o meglio priorato, di Clonza, sorgeva nel luogo dell'attuale chiesa parrocchiale di Megolo, dedicata a San Lorenzo, come rivela, ancora nel 1542, un'investitura da parte dell' abate di San Lorenzo di Novara. Dell'antico monastero non è rimasto che il tronco del campanile, con le bifore e gli eleganti capitelli romanici, risalenti alla metà del XII secolo.
Dopo la donazione del 1086, il monastero di Clonza appare in una serie di 7 pergamene dell'Archivio Capitolare di Novara, che ha inglobato il fondo dei documenti provenienti dal Monastero di San Lorenzo di Novara. Nel 1095 Dosdeo del fu Masimone e Alberto di Masera donano al monastero di Clonza tutti i loro beni posti a Trontano. Nel 1102 Uberto del fu Ribaldo e altri vendettero al monastero terre e campi a Vogogna. Nel 1149, Nicolò e Martino, vendettero al monastero case e beni in Bramosello (Premosello). Nel 1178 altri premosellesi donarono al monastero di Clonza varie pezze di terra gerbida e boscata a Clonza Superiore e Inferiore, nei pressi di una lanca: riferimento ricorrente in molte carte medioevali e che attesta lo stato ancora paludoso della piana precedentemente occupata dal lago.
All'atto intervengono, in qualità di testi, Alberto di Anzola e suo figlio. Nel 1199, Giovanni, giocoliere, e sua moglie Bellora, vendettero al monastero le loro terre poste tra il monte e la Toce. Nel 1216 il priore Roglerio di Clonza investì per 29 anni Aldisia di Stresa di un campo posto allo Scopello (tra Megolo e Angola), tra il sasso, la lanca e la <> che risaliva la valle (la via di terraferma, o via <>).
La citazione di Roglerio come <> e non come <> pare confermare la circostanza che allora il cenobio di Clonza era eretto in priorato, dipendente dal monastero di San Lorenzo di Novara, e non in abbazia. Nel 1228 infine Ugone di Novara investì Umbertino di Vogogna di tutti i beni della chiesa di Clonza nel territorio di Vogogna. E' probabile che già all'epoca di quest'ultimo atto, nel quale il priorato è rappresentato da un amministratore residente a Novara, la sua esistenza autonoma fosse cessata ed i suoi beni incorporati dal monastero benedettino di Novara. Le testimonianze delle otto pergamene (6), per quanto frammentarie, lasciano comunque intravvedere quanto il monastero diClonza sia stato importante, e dotato di beni, nel XI - XIII secolo, tra Megolo e Anzola, Trontano, Vogogna e Premosello.
Ad Anzola, una vecchia tradizione dice che l'antico complesso di Cà d'la Bugnanca, un tempo isolato dalle case del paese, fosse in origine <>. E' più probabile che la casa appartenesse ai massari del priorato benedettino di Clonza, che nel 1086 aveva ricevuto in donazione da Warnemperto il podere <>, nei pressi di quel luogo. Il priorato benedettino e il toponimo stesso di Clonza scomparvero nel nulla, tra il XIII e il XV secolo. Nel XII - XIII secolo, nella terra di Megolo sorgevano anche due importanti castelli appartenenti ai conti di Biandrate, di cui oggi non rimangono tracce, se non toponomastiche. E' strano come un luogo certamente importante nei secoli del basso Medioevo, al punto di vantare un monastero e due castelli, abbia finito col ridursi a piccoli gruppi di case senza storia, così come la terra di Megolo compare nei documenti, dal'400 in poi.

La causa di questo improvviso e inspiegabile decadimento di Megolo è svelata oggi, a molti secoli di distanza, da un atto conservato nell'archivio di un notaio di Anzola, che visse nella seconda metà del '500: Pietro Paolo Alberti. Nel 1563 infatti il notaio Alberti fu chiamato a rogare l'atto di separazione della chiesa di San Lorenzo di Megolo (l'antica chiesa del monastero) da quella di San Vincenzo della Pieve Vergonte, e la sua erezione in parrocchia (7). La separazione venne giustificata dall'impossibilità per gli uomini di Megolo di raggiungere la Pieve nei periodi di pioggia, per l'irruenza delle acque di un <> (Arsa) che scende impetuoso dalle montagne. Ma l'atto del notaio Alberti aggiunge questa notizia - finora ignota - sulla storia del luogo: <>.
Il documento non dice quanti anni erano trascorsi da quando le acque impetuose dell'Arsa o del Riale dell'Inferno (come evoca il nome stesso) avevano distrutto l'antica Megolo. Ne dovettero comunque passare almeno duecento, per riportare il numero dei fuochi dai 3 superstiti ai 70 del 1563.
La distruzione di Megolo avvenne in una data forse non lontana da quella di Pietrasanta, avvenuta nel 1328.